L’opera Il Corridore notturno è una dei sette trittici realizzati da Emilio Tadini nel 1989 (anno della caduta del muro di Berlino). E’ stata pubblicata, per la prima volta, nel catalogo I trittici, mostra realizzata allo Studio Marconi nel 1990, con testi di Umberto Eco, Paolo Fabbri, Giulio Gramigna, Franco Marcoaldi, Giuseppe Pontiggia, Roberto Senesi e Mario Santagostini, ognuno dei quali ha commentato una delle opere in catalogo.

I trittici appartengono tutti alla serie Profughi che Tadini iniziò alla fine degli anni ’80. Nel catalogo sono pubblicati in ordine di esecuzione e sono: Profughi, Il Corridore notturno, Music Hall, Pittore, scrittore e Pollicino, Il pasto del grande metafisico, “No particula place to”, Insomnia Night.
Giulio Gramigna, scrittore e critico letterario del Corriere della Sera, scrisse su Il corridore Notturno: “Il corridore notturno” non è una frase ritagliata e inserita in un insieme di toppe colorate, di linee, di piani, come accade nei collage. Esso è puramente un soffio, un “fiat nox” che continua a metter in modo la macchina ipnotica del trittico.(…) La liquidità è il riferimento, e di fatti le forme si ingigantiscono mostruosamente nel pannello centrale come viste attraverso la lente mobile di chilometri di acqua marina. Nell’altro riquadro qualcuno, in fondo al mare, scrive (non smette mai di scrivere) un trattato “De obuscuritate” – al lume incerto di una lampada, come Geppetto nel ventre del Pescecane…..”
Ma questo titolo: “Il corridore notturno” è solo funzionale, come sostiene Giulio Gramigna, a mettere in moto la macchina ipnotica del trittico? Ovvero il fluire delle cose come suggestioni sparse qua e là tra scritture e figure?
Ho cercato di scoprirlo usando una lettura più attenta di tutte le immagini rappresentate e le parole e numeri dell’opera (sia scritte, sia i nomi delle cose dipinte) e ho scoperto che “Il corridore notturno” è un personaggio ben preciso, rivoluzionario e degno di portare la maglia con il numero 2, sia perché si tratta del secondo dei sette trittici, sia perché il corridore nottuno è una donna.
Quanto sia stato consapevole Tadini dei contenuti emersi dalla mia analisi è difficile dirlo, ma la lettura simbolica ed etimologica di questo capolavoro svela, ancora una volta, l’attenzione di Emilio Tadini verso l’Uomo, la sua condizione, la sua lotta per la vita in un percorso tra sacro e profano, tra mito e favola.
Tela prima a sinistra
Si presenta con due personaggi quasi equivalenti per dominanza, uno in primo piano, in basso e uno alle sue spalle, una figura femminile con un seno scoperto. A svelare l’identità di questi personaggi ci viene in soccorso la mitologia greca.

Il mito di Perseo
Perseo, figlio di Danae e Zeus, fu gettato in mare chiuso in una cassa con sua madre Danae dal nonno Argo Acrisio, perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe stato ucciso da suo nipote. Per evitare che sua figlia potesse generare provò a rinchiuderla in una stanza di bronzo sotto terra. Ma non bastò perché fu fecondata da Zeus che, per averla, si trasformò in pioggia e penetrò nella terra fino a fecondarla. Il nonno si accorse di aver avuto un nipote perché un giorno sentì provenire dalla stanza sotterranea un grido di fanciullo. Fu così che per sfuggire al suo tragico destino decide di chiudere sua figlia e il nipote in una cassa di legno e di buttarla in fondo al mare.
La cassa però emerse ed approdò sull’isola di Serifo. Danae e suo figlio Perseo vennero salvati da Ditti, fratello di Polidette, tiranno dell’isola. Quest’ultimo nutriva una forte attrazione per Danae mai ricambiata. Perseo, riuscì sempre a proteggere la madre dalle grinfie del tiranno, ma un giorno venne invitato a cena da Polidette e sfidato. Era suo desiderio avere in dono un cavallo. Tutti gli invitati alla cena riuscirono a soddisfare il desiderio del tiranno tranne Perseo a cui chiese, consapevole dell’ardua impresa, di portargli la testa di una delle Gorgoni. Erano donne mostruose che pietrificavano con lo sguardo e se non ce l’avesse fatta Polidette avrebbe preso sua madre con la forza. Perseo non si arrese, accettò la sfida e si fece consigliare da Atena ed Ermes che gli fornirono anche la roncola per tagliare la testa. Così armato e addestrato, Perseo andò a trovare le figlie di Forcide, che condividevano tra loro un solo dente e un solo occhio e le privò di entrambi per farsi dire dove trovare le Ninfe. Giunto dalle Ninfe queste le diedero dei sandali alati, una bisaccia (kibisis) e l’elmo dell’Ade che aveva la proprietà di rendere invisibili.
Così equipaggiato Perseo si diresse verso le tre Gorgoni che sorprese dormienti. Uccise l’unica mortale: Medusa che veniva raffigurata anche con la testa di un cavallo. Dalla testa di Medusa la mitologia narra che nacque Pegaso il cavallo alato capace di elevarsi dal terreno, simbolo della vita spirituale del poeta e della sua ispirazione.
Il figlio Perseo

Osservando il quadro scoprirete la straordinaria corrispondenza di questo racconto mitologico con la prima tela del trittico di Emilio Tadini. Perseo è il personaggio seduto allo scrittoio con alle spalle la madre, di cui riconosciamo il sesso femminile e il suo ruolo materno in quanto ha un seno scoperto come una madre che allatta. I due personaggi sono inseriti in un contesto sottomarino presagio di morte, c’è un teschio, una nave che affonda ed è l’ambiente in cui sono stati gettati da Argo Acrisio, il padre/nonno, ovvero il mare, per scongiurare la sua morte per mano del nipote. Ciononostante quello che doveva essere per Danae e Perseo luogo di morte si presenta come un ambiente pieno di vita ci sono le stelle (quelle marine), i pesci, le meduse e, sopra la testa del personaggio femminile è dipinto un mezzo che somiglia più ad un aereo che ad una nave con la sua elica. Si tratta di un mezzo di confine che gioca nell’ambiguità del blu che è sia il cielo, luogo del visibile, che l’abisso, luogo dell’invisibile. Perseo e sua madre sopravvivono alla tragedia e riemergono dall’abisso. E’ singolare come noi usiamo spesso espressioni come il baratro, l’abisso, il fondo, quando vogliamo indicare una situazione di estrema difficoltà tanto quanto usiamo l’espressione “venire a galla” , “saltar fuori” quando ritroviamo una cosa nascosta o persa.
La parola “perso”
Il nome Perseo è correlato alla parola “perso” , participio passato di perdere, parola composta da “para” che significa “per” (in senso contrario anche radice di “perire”) e dal termine “da” che significa dare. Analizzando questi elementi, possiamo dire che nella parola “perso”, dunque nel personaggio di Perseo, troviamo il senso della perdita, ovvero di qualcosa che è data per morta. Il termine “perso” interpretato non come participio di perdere è il nome di un colore blu molto scuro tra il porporino e il nero e questo nome viene attribuito anche a una varietà di mele dette persiche ovvero le pesche. La parola “perso” ha dunque a che fare con l’invisibile, l’oscurità e il mistero e guarda caso anche con un frutto simbolicamente correlato al peccato e quindi a ciò che noi definiamo anche “perdizione”. Questo frutto si ripresenta nel trittico anche in altre “sembianze” che spiegherò più avanti.
“De oscuritate”
Il personaggio di Tadini è seduto ad una scrivania con in mano una penna e un foglio su cui scrive “De obscuritate” , ovvero sull’oscurità. E’ colui che è deputato a trattare del mistero, su ciò che ci è nascosto o è per noi invisibile. Tutte le cose perse (come lo era Perseo) non sono visibili, ma nella dimensione dell’invisibile “dimorano” anche altre cose. Ciò che non vediamo ci sembra apparentemente inesistente (nel mito il nonno di Perseo farà le spese di questo in quanto verrà comunque ucciso dal nipote e non sfuggirà al suo destino).

Ricordiamo inoltre che Perseo viene dotato da Atena ed Hermes dell’elmo dell’Ade che rende invisibili e l’Ade è il regno dei morti. Quindi trattando dell’oscurità, del mistero e dell’invisibile, Perseo tratterà anche del mistero della morte.
Questo personaggio emblematico del trittico di Tadini compie due gesti: con una mano (la sinistra) scrive e con l’altra sposta lo sguardo della testa di un animale che somiglia a un cavallo/asino. La mano destra e sinistra hanno una simbologia legata alla lettera Y ovvero alla biforcazione tra il bene e il male o, come nel mito di Enea, era biforcuto il ramo d’oro con cui poteva andare nell’Ade. Come vediamo dunque sembrerebbe non casuale la scelta di Tadini di far scrivere Perseo con la mano sinistra: lui è un personaggio che unisce due dimensioni. Con la destra, Perseo scosta lo sguardo di un cavallo/asino con al collo una campana che sappiamo tutti indicare, se indossata da un animale, l’utilità di essere ritrovato dal pastore quando non è visibile. La campana, però, è anche simbolo dello scandire del tempo e di momenti di passaggio come dalla vita alla morte. Siamo di fronte a un cavallo – Medusa che porta la morte con la visione (pensate al fatto che noi possiamo vedere solo ciò che è materiale e solo ciò che è materiale muore), ma dalla cui uccisione esce un cavallo alato, Pegaso, che si eleva dalle cose terrene e questa riflessione nel contesto dell’opera e della sua narrazione è straordinaria. Tuttavia, l’animale dipinto nel quadro di Tadini somiglia anche ad un asino. Che cosa potrebbe significare questo? L’asino è colui che porta il peso dell’uomo e, nel Vangelo, porta prima la Madonna e poi di Gesù.
Il Cristo
La pluralità di senso contraddistingue tutta l’opera di Tadini e la vicinanza dell’asino alla figura del personaggio individuato come Perseo con la madre Danae ci riporta ad un’altra coppia madre e figlio che usano l’asino: Gesù e la Madonna. Cristo è colui che scende nel mondo materiale per parlare del divino, del mistero è il punto di congiunzione (il ramo d’oro), colui che con una mano parla del mistero e con l’altra delle cose terrene. Questa correlazione trova ancor più senso nel cappello che portano entrambe le figure: maschile e femminile. Si tratta del Kippah, berretto degli Ebrei, portato in rispetto a Dio. In generale la copertura della testa è sempre un segno di rispetto verso Dio (pensiamo alla testa coperta delle donne in Chiesa e al cospetto del Papa), ma in questa tela la donna porta un cappello che non le è concesso nella tradizione ebrea e questa eccezione può essere concessa forse all’unica donna vicina a Dio e al Cristo: la Madonna. A sostenere questa interpretazione un altro indizio. Perseo/Gesù è seduto su una sedia e alla sua sinistra, sulla sedia è posto un numero, il numero 1. Questo numero è riferito al principio, simbolicamente a Dio creatore e se attraverso il numero Tadini ha voluto rappresentare l’irrappresentabile, alla destra di Lui, si può sedere, come scriveva Sant’Agostino, solo un personaggio: Gesù (il figlio siede alla destra del Padre, come nel quadro di Tadini). Il significato dello “stare seduti” equivale a dire “abitare” infatti noi usiamo l’espressione “sede” quando vogliamo indicare un luogo in cui si sta. Quindi, nell’abisso, nell’oscurità, ha sede il mistero della nascita del mondo e la donna/madre posta dietro nella scena del quadro di Tadini è la figura che permette di svelare il mistero perché permette a Dio di avere un figlio che tratterà dei misteri della Fede. La donna dell’opera di Tadini che sembra in secondo piano è tuttavia superiore al figlio, occupa buona parte della tela, sembra in secondo piano, ma in realtà, non lo è. E’ lei, la donna che può, attraverso la maternità, portare a terra, tra gli uomini, il figlio di Dio che parlerà del bene e del male e del regno di Dio.
La prima tela de Il corridore Notturno, è un capolavoro di composizione e di narrazione che sottolinea un aspetto ricorrente nei tre trittici ovvero la ricerca e riflessione di Tadini sui rapporti tra mito, religioni e ricerca dell’Uomo di dare risposte alle importanti domande dell’esistenza.
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