La camera da letto nell’arte ha per emblema un quadro famosissimo di Vincent Van Gogh, La camera da letto di Arles. A fare da contraltare alla rigorosa e simbolica semplicità di questa stanza c’è un’opera di Emilio Tadini, La camera da letto. Un composizione emblematica che si impone in tutta la sua complessità invitando inevitabilmente l’osservatore a superare la fase contemplativa per entrare in quella interrogativa. Tadini ha sempre amato articolare il suo pensiero tra parole e figure realizzando spesso opere simili a rebus da risolvere, dunque mi sono addentrata nella ricerca e ho scoperto nel quadro La camera da letto, un mondo concettuale e simbolico.
La camera da letto vista da Melina Scalise
L’opera di Emilio Tadini, La Camera da letto, è una delle opere più interessanti della sua produzione artistica e senza ombra di dubbio tra le più affascinanti. E’ stata realizzata nel 1993 anno in cui Mondadori, negli Oscar Narrativa, pubblicava la traduzione di Luigi Schenoni di Finnegans’ Wake (La veglia di Finnegans- 1939), ultimo romanzo di James Joyce. Non è un caso. Tadini era un attento studioso della letteratura. Questo romanzo, ritenuto, ancora oggi, tra i più emblematici e rivoluzionari, ricco di neologismi, significati nascosti, metafore e riferimenti simbolici, credo che sia stato per lui fonte di grande riflessione e ispirazione. Sul grande letto che lo domina ho infatti scoperto che la scritta “Many NamEs at DiSJ.inteD TIMes” è tratta dal quarto capitolo di Finnegans Wake dedicato al personaggio femminile Anna Livia Plurabelle.
Umberto Eco descrisse Tadini, “un pittore che scrive e uno scrittore che dipinge” e questo quadro, “La camera da letto”, può essere ritenuto un omaggio critico all’ultimo romanzo di Joyce in cui Tadini manifesta una capacità di commistione tra i due modelli espressivi, figura e scrittura, eccezionale e straordinaria: una sorta di capolavoro di sintesi linguistica e semantica. Sempre Eco definì l’ultimo libro di Joyce un “romanzo aperto” e oserei dire che anche il quadro di Tadini è un quadro dai molteplici significati: “un’opera aperta”. Finnegans’ Wake è un flusso di coscienza tra i più complessi e intraducibili della storia della letteratura tanto che per alcune traduzioni, furono impegnati scrittori, linguisti e semiologi inglesi, irlandesi (come Joyce), russi, francesi e italiani. La storia si svolge in camera da letto. Il personaggio principale, Humphrey Chimpden Earwicker, si addormenta e inizia una sorta di odissea onirica degna dei più alti insegnamenti di Freud e dei filosofi di riferimento del tempo.
Quel romanzo tocca alcuni punti d’interesse anche della ricerca artistica e filosofica di Emilio Tadini. Pone l’accento sulle relazioni interpersonali e in particolare famigliari, sul tempo e lo spazio, sull’ermeneutica, la semiotica e la semiologia. Scrisse Tadini riferendosi a Ulisse sempre di Joyce: “Nel monologo interiore i personaggi … tendono a qualcosa che potremmo chiamare un “calcolo completo”: consumano la tendenza delle cose a diventare passato e ne integrano il residuo oggettivo in quella attualità generale di rapporti e interazioni in cui essi (e il lettore) possono riconoscere la finalità della loro esistenza. Al posto della memoria una presa di coscienza a 180 gradi, anzi, sferica” (dal capitolo Il tempo e il cuore del libro di Giacomo Raccis (ed. Il Mulino) “Emilio Tadini, quando l’orologio si ferma” in cui Tadini elabora un confronto tra Proust e Joyce) (COMPRA QUESTO LIBRO).
La grande tela tonda scelta da Tadini per “La camera da letto”, così come quella del romanzo di Joyce diventa dunque lo spazio in cui si sviluppa il racconto esistenziale di ognuno di noi come inseriti in un eterno presente.
Chi guarda il quadro di Tadini si trova completamente inserito nel suo quadrante come piaceva a Tadini che diceva di amare dipingere grandi tele perché si sentiva un tutt’uno con l’opera. Tutti i personaggi dalle grandi teste volgono lo sguardo all’osservatore senza abbandonarlo mai e lo catturano. La percezione di questo gioco di sguardi fa diventare il loro tempo e il loro spazio quello di chi li guarda. Si è dentro la storia. E quella storia si impone con un’urgenza interpretativa. Vi troviamo continui rimandi, tra parole e le figure, al mondo delle relazioni, riferimenti filosofici da Spinoza a Deleuze, da Nietzsche a Wittgenstein a Freud, nonché riflessioni su la “distanza”, a cui lo stesso Tadini dedicò un saggio (La distanza-Einaudi 1998). Non meno di rilievo sono le considerazioni sull’uomo e la donna e sulla nascita delle religioni. In pratica, anche Tadini, in quest’opera, ha espresso un “calcolo completo”, come scrisse di Joyce, “una presa di coscienza… sferica” come la sua tela, tant’è che, da un’analisi più attenta degli elementi compositivi, si rivela essere un grande orologio.
L’occhio dell’osservatore che si muove ne “La camera da letto” di Tadini ha in primo piano la gamba del grande letto a forma di culla. Alla cui base, vicino alla circonferenza, Tadini colloca la parola TIMes. Il rimando simbolico alla lancetta dell’orologio è dunque manifesto. Meno il senso delle maiuscole e minuscole che aggiungono significati nuovi alla parola TIMes-tempo. E’ importante da questo momento in avanti, infatti, prestare attenzione alle lettere maiuscole e minuscole delle parole inserite nell’opera perché ognuna di esse può assumere significati diversi.
Tadini come Joyce gioca con il senso plurimo sia delle parole che delle immagini (caratteristica del suo linguaggio pittorico).
Lungo il lato sinistro della culla, prima della parola TIMes, leggiamo “ManyNamEs” tutto attaccato o staccato a piacere perché potrebbe diventare anche “any name” (nessun nome) ed è chiaro il gioco linguistico di Tadini quanto la sua passione per il filosofo Deleuze che teorizza il pensiero rizomatico ovvero in grado di favorire la circolazione dei concetti grazie alla parola che si apre alla pluralità dei significati, dunque si libera da una sorta di dipendenza verticale per trasformarsi in una pluralità di senso (ogni parola ha un segno e un significante, ma i significati possono essere molteplici).
Circa la possibilità interpretativa delle immagini, a ore 7, troviamo la figura di un uomo-papero con bandiera rossa. Credo che sia un riferimento ad un altro filosofo caro a Tadini, Wittgenstein, che appunto con l’immagine di un papero-coniglio voleva dimostrare quanto la stessa forma potesse essere coniglio o papero semplicemente cambiando il senso dello sguardo da destra a sinistra o da sinistra a destra. L’uomo-papero è una figura che sfugge da “La Camera da letto”, come a sottintendere l’intero lavoro, armata di una bandiera rossa che ha tanto della volontà di non adesione al pensiero morale e religioso precostituito. Forse non a caso è posizionata a ore 7 perché per la numerologia questo valore numerico è simbolo di spiritualità, emblema dello spazio, del tempo e dell’universo in movimento perchè unisce il 3 (divino) con il 4 (terrestre) e quindi è il punto di compimento del ciclo, forse dunque la chiusura simbolica dei temi toccati dall’opera di Tadini. A supportare questa tesi troviamo in questa zona del quadro anche una presenza di colore viola che è, per eccellenza, simbolo di spiritualità perché unione del rosso della “carne” e dell’azzurro del cielo.
Ma noi non vogliamo già uscire dal quadro, chiudere il percorso, anzi, vogliamo cominciarlo e quindi torniamo nel tempo dell’opera e analizziamo la parola TIMes.
Probabilmente con “es” minuscolo Tadini ha voluto sottolineare che in quella stanza si parla del tempo dell’Es, ovvero, dell’Io più profondo. Ovvero che ci troviamo in una dimensione inconscia, onirica, come per il personaggio di Joyce, dove si pensa anche per immagini .
“Il pensare per immagini resta fuori dalla parte cosciente” , scrisse Tadini sottolineando un passaggio di Freud nel libro “L’Io e l’Es”. Oppure,“TIMes” gioca con l’Io e l’Es perché “T” potrebbe essere iniziale di Tadini, una sorta di firma del quadro e così diventa : Tadini “ Im” – ovvero io sono – es. Questa terza interpretazione sembrerebbe una forzatura, in realtà non è così se si legge uno scritto di Tadini che spiega “nella totalità, prima della separazione, non si da quantità. Si da soltanto “qualità”. E questo rende in realtà indefinibile con parola il significato della parola qualità. Forse la qualità “è” proprio l’indicibile (il non separabile dalle parole), il ricordo di un fondamentale valore pre-verbale. L’occhio non fa che misurare distanze”. E a ore 6 troviamo la forma più in primo piano del quadro, la gamba-lancetta del letto-culla: l’inizio, il tempo della qualità, dell’es tanto che nella numerologia il 6 è il sogno, il destino e l’armonia.
Ma questa armonia si interrompe, proprio come diventa veglia il sonno del protagonista di Finnegans’ Wake. Avviene un passaggio. La totalità “pre-verbale e indicibile” diventa verbo e destino, perché Tadini, sulla pediera del letto scrive: “at DisJ.INteD” “alias “DisJoINteD” ovvero disgiunto, separato, distante.
Tadini vede nella “distanza” non solo la nascita dell’individuo e dello sguardo (l’oggetto lo vedo solo nella distanza), ma anche la nascita della parola. “Nello spazio aperto dalla separazione originaria, quando il bambino si stacca dal corpo della madre, e lo vede allontanarsi: in quello spazio posa l’aria che consente al linguaggio di respirare – scrive nei suoi appunti – le parole chiamano la figura che si allontana dopo la separazione: cercano di chiamarla indietro. Le immagini ce ne riportano il simulacro, la figura. Parole e immagini sono gli organi della nostalgia (…) Il bambino sorride a ciò che ritorna. A ciò che vede ritornare” .La parola distanza si fa corpo perché è come se sganciasse dal fulcro la seconda lancetta dell’orologio. Infatti sulla destra, al termine della parola DisJ.inteD, a ore 4, troviamo la seconda gamba del letto e 4 è simbolo del corpo. Effettivamente quella parola è come se separasse fisicamente le due gambe – lancette del letto. La parola “separazione” “DisJoINteD”, con le sue corpose D alle estremità, segna il passaggio dall’indistinto al distinto, dal sogno alla veglia, dalla qualità alla quantità e dunque è anche una nascita.
Ecco perché in questo quadro il letto raffigurato è simile a una culla perché è un tutt’uno con il corpo della donna-madre che è adagiata nel letto. La disgiunzione DisJoINteD è l’atto del distacco dal corpo, lo strappo e quindi la nascita. Inoltre, la donna-madre è l’unica figura del quadro con la bocca e quindi l’unica a possedere l’organo della parola: la parola è respiro ed è nella distanza. Non è dunque un caso che le parole “Many NamEs at DisJ.INteD TIMes” siano scritte sul suo letto-corpo.
Ma qual è la nascita raccontata nel quadro? Sicuramente è la nascita dell’individuo in senso lato, ma non solo.
Nel testo di Finnegans’ Wake di Joyce, da cui Tadini ha tratto la frase scritta sul letto-culla, “Many names at disjointed times” la parola disgiunto, separato viene scritta con un punto tra la “J”e la “i” quindi “D is J. IN te D” , dove “J.” potrebbe significare “c’è Joyce in te” . Quasi a sottolineare che nell’opera, nella culla, nel corpo della donna-culla, c’è lo scrittore con il suo linguaggio, il suo flusso di coscienza fuori dai cardini spazio temporali.
Tuttavia “is J. IN te” potrebbe anche significare “is Jesus in te” ovvero “c’è Gesù in te”. Un’interpretazione apparentemente inopportuna, ma non lo è se proseguiamo la lettura dell’opera di Tadini e, parallelamente, analizziamo il capitolo di Finnegans’ Wake a cui ci riferiamo che è quello in cui Joyce descrive Anna Livia Plurabelle, moglie del protagonista.
Vicino alla gamba destra del letto troviamo un’altra frase emblematica del quadro: “ismael EnCoRe”: “Ismaele ancora”. E’ strana la scelta di riportare il nome Ismaele in francese. Dunque mi sono incuriosita e ho scoperto Tadini potrebbe averlo tratto da un saggio dell’Ottocento sul Protestantesimo (“Isaac et Ismael ou Dialogues sur le protestantisme” Di J. B. de Saint-Victor libro del 1847 Paris – editore Vaille libraire )in cui si riporta un dialogo tra Isacco ed Ismaele (entrambi figli di Abramo). In quel testo Ismael chiede ad Isacco, in diversi passaggi, “ancora una volta” di interrompere i suoi discorsi. Forse Tadini, avendo vissuto per diversi periodi a Parigi potrebbe aver letto questo testo e aver scelto di inserirlo nel quadro perché Joyce inserisce in Finnengans’ Wake un rapporto tra Cristianesimo e Islamismo sottolineandone una “matrice” comune.
Joyce inizia il quarto capitolo di Finnengans Wake così: “In the name of Annah the allmazifull, the Everliving, the Bringer of Pluralities, hallowed be her eve, her singtime sung, her rill be run, unhemmed as it is uneven! Her untitled mamafesta memorializing the Most highest has gone by many names at disjointed time.” Alcuni studiosi del romanzo vedono in questa frase un’assonanza ai testi sacri: Bibbia e Corano: “Nel nome di Allah clemente e misericordioso” e del Padre Nostro” con la differenza che nel testo di Joyce il “Dio” di riferimento è femminile.
Ismael EnCoRe scritto accanto al letto-culla potrebbe avere un’attinenza con la nascita e la separazione del Cristianesimo dall’Islamismo nonostante tutto “ancorati” ad un unico fulcro: Adamo. Forse per Tadini questa scritta può essere una critica a questo riferimento nel lavoro di Joyce, un po’ come dire: “ancòra Ismael…” . Di certo la scritta posizionata vicino a quel piede-lancetta del letto scardinata ne sottolinea la nascita e pone la questione religiosa come parte integrante della vita dell’individuo.
Ismaele è il figlio di Abramo avuto dalla schiava Agar e quindi illegittimo rispetto a Isacco figlio di Sara, sua moglie. La gelosia di lei (guarda caso la donna nel letto culla di Tadini ha le labbra gialle colore della gelosia) lo costringe a scacciare di casa Ismaele e sua madre, ma Dio gli preannuncia che da lui nascerà una grande stirpe. Ismaele, si legge nei testi sacri sia cristiani che mussulmani, si sposa una donna egiziana dando origine alla razza degli “ismaeliti” ovvero degli arabi (forse l’ EnCoRe di Tadini vuole giocare con il senso “ancora Re” ovvero resta vincitore nonostante la cacciata del padre). La parola Encore, che significa “àncora o ‘ancòra” assume un nuovo senso leggendo il proseguo del capitolo di Joyce in cui descrive Anna Livia Plurabelle.
Edmund Wilson scrive sulla rivista letteraria La Frusta un’analisi ricca di riferimenti interessanti che trovano corrispondenza con i riferimenti di immagini e testo scelti da Tadini: “ (…)viene presentato il personaggio di Anna Livia. Prima prende in prestito un verso tipico del Corano (in the name of Hallah the merciful, the compassionate , poi gioca su allmighty (onnipotente) e maze (labirinto) in un calembour intraducibile (onnilabirintica?) tornando a frequentare l’eternità del ritorno (everlinving) e il mondo del molteplice (plurabilities), infine tira in ballo il “sia fatto il tuo nome” del padre nostro…”. Appunto Tadini nella culla inserisce l’ambiguità “is J. In te”. “Nella frase dopo – prosegue Wilson – tira in mezzo anche l’Amleto di Shakespeare e il suo “time out of joint” (tempo fuori dai cardini) in disjointed times (come abbiamo visto Tadini scardina con disjointed le due simboliche lancette nonché piedi del letto). Questa divinità terreste/fluviale viene poi presentata con una lista enorme di nomi tutti diversi, reincarnazioni in fiumi del mondo. Come nell’Ulisse il personaggio femminile rappresenta l’àncora di salvezza possibile, qui attraverso una lettera che scagionerebbe Humphrey Chimpden Earwicker in un processo per un qualche senso di colpa non meglio precisato (in ogni caso il senso filosofico è evidente secondo il senso di Nietzsche: l’innocenza del divenire–fiume e il sigillo anulare dell’eterno ritorno come medicine contro la morale del risentimento e contro ogni tribunale platonico dell’idea”.
Come si evince dal testo, citando Ismaele, Tadini sottolinea il riferimento alle religioni nel testo di Joyce, per sposare una tesi in cui domina la figura femminile. Troviamo infatti il riferimento all’àncora che viene tirata sulla pediera del letto, un invito a levare gli ormeggi, per lasciare fluire il tempo e lo spazio su questo letto-corpo-donna che ora è anche un’arca libera da orpelli e convenzioni.
Sotto il letto, infatti, in corrispondenza dell’àncora, troviamo le gambe di un uomo che si nasconde insieme a una specie di cane-giocattolo. Forse Tadini leva l’àncora dal senso di colpa e da una morale religiosa che punisce i peccati della carne (non dimentichiamo che ci troviamo all’altezza del numero 4 che è il numero del corpo, della carne). Da quella “colpa” però si leva l’àncora, l’inizio del viaggio, della vita e forse non è neppure un caso che la sfera bianca e nera (ciclo della vita e della morte) posizionata nella culla è esattamente nel punto in cui si leva .
Se per Joyce la donna è un elemento centrale, come divino, perché è l’acqua che fluisce, alimenta la terra e in lei si fonde, per Tadini la donna è ugualmente un riferimento importante. Alla donna Tadini conferisce una corona di ulivo simbolo di pace e comunione su un cuscino rosso di vita e passione.
Con Joyce probabilmente Tadini condivide la vicinanza della donna alla Terra (il corpo culla è l’unico ad avere il colore verde) e agli elementi naturali tanto che, nella culla le pone accanto una tartaruga che porta stabilmente una candela dell’illuminazione. Si tratta di un animale che simboleggia la Terra, la protezione della casa, la capacità di difesa, ma anche quella di attacco perché come estrema ratio impiega un poderoso morso a chi la mette in pericolo.
Il corpo della donna nel quadro è un tutt’uno con la culla della nascita, è il letto dove entrare nel tempo dell’Es, nel sogno, è l’arca che contiene un modo fatto di case, animali e cose, ma è anche il talamo e quindi il letto nuziale. Studiando l’etimo della parola talamo, che definisce in età omerica la camera appartata della casa, ovvero la camera da letto, si scopre che deriva dal greco tholos (volta) che trae origine da dhar (tenere, portare) da cui anche deriva dharati (onde), dharuna (firmamento) e dhartra (casa). Quel letto è dunque anche un talamo con tutti i riferimenti simbolici fin qui elencati perché l’uomo con la grande testa centrale nel quadro di Tadini “tiene” il corpo di quella donna, lo “porta” e, al tempo stesso, le rivolge la testa, lui, come tutte le altre teste maschili presenti nell’opera. La donna è dunque un punto di riferimento e in lei c’è il cardine del ciclo del tempo.
Joyce differenzia l’uomo dalla donna individuando in lui l’uomo-faber, colui che costruisce sulla collina lungo le rive del fiume (donna). Anche per Tadini in quest’opera l’uomo riveste questa funzione. La testa femminile, contraddistinta da un orecchino a cerchio, vede in contrapposizione una testa maschile con una matita sull’orecchio. Quella figura potrebbe essere uno scrittore o un pittore, Tadini o Joyce, e gli mette la matita sull’orecchio come se fosse un cronista, un negoziante che fa di conto o altro ancora. Dalla sua testa escono delle figure e una specie di scatola che sembra un letto, ancor di più un talamo perché davanti c’è una coppia, un uomo e una donna. La donna con un vestito giallo di gelosia che tira per mano l’uomo come se fosse un bambino tant’è che non ha l’abito rosso ma dei pantaloni verdi quasi a sottolineare che guidato dalla donna ha i piedi ancorati a terra. Davanti a loro c’è un uomo gigante che versa una goccia da un secchio in direzione del ventre della donna distesa nel letto-culla. Ebbene, ci troviamo esattamente a ore 12 e queste tre figure formano il numero 12 composto da 1 (uomo con il secchio assume una posizione identica alla forma del numero 1)e 2 (la coppia in cui l’inclinazione dell’uomo invita a leggere un numero 2). Il numero 1 è simbolicamente la Natura Divina o l’Uomo.
Nell’opera di Tadini l’uomo- uno versa simbolicamente il suo seme in direzione del ventre della donna-letto generando, edificando, costruendo la società, la sua cultura, i suoi simboli, le sue religioni tant’è che ogni tetto delle case dipinte nel quadro richiama architetture di paesi e culture diverse.
Accanto a questa figura troviamo anche un cartello con scritto “vel in se, vel in alio”. Questa frase è tratta da Spinoza “Omnia quae sunt vel in se vel in alio sunt” che significa “tutto ciò che è in sé è o in sé o in altro”.
Un’altra scena centrale che argomenta le differenze tra l’uomo e la donna si trova al centro e nel primo quadrante dell’orologio dove li troviamo raffigurati con movimenti identici, ma contrapposti. Si vede una figura nuda, senza testa né busto, né piedi, verosimilmente femminile, che balza nella grande culla trasportata su due grandi ruote, attraverso un “ciclo” , forse alludendo al ciclo femminile e quindi in modo meccanico, d’istinto. Tutto lascia pensare che per Tadini la donna si muova d’istinto ricercando un equilibrio tra gli opposti (il cardine del quadro punta al numero 6 come abbiamo visto), ma soprattutto è un tutt’uno con il letto centrale del quadro e quindi nucleo della camera da letto.
In direzione contrapposta corre un uomo con il cappello che scappa e prende le distanze entrando in un’altra stanza, come da una finestra. Se la donna in sua opposizione è simbolicamente l’istinto femminile che anima il letto-culla, la stanza, la casa, la Terra, allineandosi ai cicli naturali, allora l’Uomo che scappa è l’esatto opposto: il suo è un istinto che lo spinge a muoversi lontano dallo spazio conosciuto, a sfuggire alla ripetizione, a perdersi o cercarsi nuovamente nel molteplice che forse Tadini rappresenta nelle tre teste. Il suo spazio si contraddistingue anche come luogo di tentazione così come nel romanzo Finnegans Wake Joyce inserisce nella stanza un quadro con il drago che viene sconfitto da un santo. In quest’opera vediamo che Tadini, forse per espresso rimando a Joyce, inserisce “nello spazio dell’Uomo” un quadro con un animale simile a un drago, una presenza demoniaca da tenere a bada. Lo “spazio dell’uomo” è questa stanza posizionata tra il numero 12 e il numero 3. Secondo la numerologia il numero uno è un numero creatore, ma sterile in quanto identico a se stesso. Il 2 è il femminile e insieme al numero uno e quindi addizionato o moltiplicato al numero 1, non può dare origine a tutti gli altri numeri senza il numero 3 che è quindi il numero della creatività che si lega alla creazione del tempo e dello spazio. Lo spazio, per Tadini, è quello del triangolo che, in qualche modo, disegna con l’angolo della finestra.
In questo passaggio è inevitabile un pensiero a Nietzsche e al concetto di “volontà di potenza” da cui Tadini era affascinato, ovvero al bisogno del “superuomo” di avere una continua necessità di rinnovamento, reso possibile dalla capacità di assumersi la responsabilità e la leggerezza della creazione, dove il ripetersi, il ritorno, è intrinseco al processo creativo. Questo spiega perché “nello spazio dell’uomo” , nella stanza nella stanza, Tadini inserisce sì l’uomo che fugge, ma anche il suo guardare indietro.
Tutto ruota attorno al grande corpo della donna-culla. Le figure maschili volgono a lei in direzione antioraria, mentre le donna ha lo sguardo in senso orario. Esiste quindi un chiaro riferimento temporale che richiama il senso del ritorno e di un “eterno ritorno” che però qui non ha un ripetersi uguale, ma molteplice: nel quadro di Tadini, come nel libro di Joyce.
Non c’è un ritorno all’uguale, ma al diverso alla Deleuze che Tadini aveva sempre come fonte di ispirazione. Esiste in pratica per Tadini un ripetersi circolare che riguarda il ripetersi in sé, ma nella ripetizione nasce la differenza e quindi il molteplice. Un po’ come dire, riferendoci all’opera La camera da letto il ciclo del sonno e della veglia si ripetono, ma mai è identico ciò che si ripete, così come il ciclo della vita e della morte.
Tadini tradusse Gilles Deleuze e questa frase tratta dalla sua traduzione di Differenza e ripetizione di Deluze per edizioni di Giuseppe Guglielmi e Raffaello Cortina è esplicativa: “ L’arte riproduce esteticamente le illusioni e le mistificazioni che nascondono l’essenza di questa civiltà, in modo che si possa almeno esprimere la Differenza”.
La camera da letto di Tadini è l’esaltazione di questa differenza.
Melina Scalise
(è vietata la riproduzione non citando l’autore)
L’opera è in esposizione fino al 20 maggio a Spazio Tadini, casa museo fondata in memoria di Emilio Tadini da Francesco Tadini e Melina Scalise sono possibili visite guidate.
L’ha ribloggato su Emilio Tadinie ha commentato:
L’opera La Camera da Letto di Emilio Tadini letta da Melina Scalise