L’editore Matteo Bianchi e Carolina Leite di Pagine D’arte hanno presentato a Spazio Tadini il primo libro della collana Parole&figure. (compralo su Amazon)
La loro scelta di cominciare questo ciclo editoriale con Emilio Tadini – seguono altri nomi quali Alberto Manguel e Marguerite Yourcenar – evidenzia quanto in questo autore del Novecento abbiano visto una figura chiave nella ricerca sul rapporto tra le parole e le immagini. In uno degli appunti di Tadini riportato nel libro si legge e si guarda: “i disegni, i segni” e poi ancora, “immagine”, “arte”, “cosa”.
In Parole&Figure emerge il lavoro strutturale di riflessione, analisi e sintesi che ha contraddistinto il metodo di ricerca dell’artista Emilio Tadini. Nel libro sono riportati appunti e disegni che l’artista raccoglieva in schedari in un susseguirsi apparentemente caotico e casuale a dare l’idea del sistema adottato dall’artista per elaborare testi, quadri e storie rivelando una forma mentis visuale e concettuale insieme. Non stupisce dunque che per Tadini abbia avuto un ruolo chiave il suo ricorrente anagramma: Caos, caso, cosa.
Il suo caro amico, Umberto Eco lo ha ricordato come: “scrittore che dipinge, pittore che scrive”. Ebbene, per questo, Emilio Tadini non fu capito appieno. Nella società della seconda metà del Novecento era un uomo con almeno due identità dominanti a cui molti chiedevano una scelta: o pittore o scrittore. Ma Emilio Tadini guardava avanti e tanto avanti che oggi emerge come uno dei pochi intellettuali ad aver intuito da lì a poco, il forte cambiamento linguistico che avrebbe contraddistinto l’inizio del nuovo Millennio: la relazione tra immagine e parola come nuova modalità espressiva.

I segnali di questa anticipazione nel lavoro di Tadini la troviamo non solo nei suoi appunti così ben rappresentati in Parole&figure, ma nei suoi quadri tanto che spesso i suoi dipinti sembrano dei rebus, nelle sue sculture “fiore”, nei suoi lavori di critica d’arte come nel libro L’Occhio della pittura in cui propone una chiave di lettura di alcuni quadri fondamentali della storia dell’arte contemporanea. I suoi romanzi, invece, giocano con la grammatica e la punteggiatura cercando di cogliere la dinamica, la ritmica e l’evoluzione del linguaggio. Un esempio fra tutti è il libro che fu pubblicato dopo la sua morte (2002) con l’editing a cura di suo figlio, Francesco Tadini, Eccetera, in cui scrive – con una sintassi molto particolare – il racconto di un gruppo di giovani in giro per discoteche. In Eccetera, dimostra come, nonostante lo avesse scritto a 75 anni di età, aveva una grande capacità di entrare in empatia con le nuove generazioni e nello stravolgimento della struttura grammaticale e della parola anticipa lo stravolgimento delle prospettive e della vita del nuovo Millennio dovuta al radicale cambiamento del modo di comunicare.
Era una questione di mezzi: Gutemberg inventò la stampa a caratteri mobili moltiplicando la possibilità di riproduzione dei manoscritti e la diffusione dei testi, i telefoni cellulari favorirono la lingua parlata alla scritta, l’evoluzione in smartphone li ha trasformati in macchine fotografiche connesse a Internet e il salto è stato breve: le immagini oggi viaggiano come e insieme alle parole.
Il nostro futuro è il risultato di questa rivoluzione tecnologica e telematica del linguaggio e della modalità di relazione, di essere e di coesistere in una pluridentità contraddistinta dalla nostra immagine, dalla nostra parola (scritta e parlata) e dalla nostra presenza.
Melina Scalise
Una risposta a "Emilio Tadini e la nuova lingua – Parole e figure"
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