Le malattie non scelgono le vittime per nazionalità, quindi è utile la prudenza, ma intollerabile la discriminazione, utile la paura, non il panico, indispensabili le precauzioni sanitarie, non i pregiudizi. Ricordare alle persone che essere cittadini, europei, italiani, residenti nel Nord Italia non significa essere “il coronavirus”, è forse d’obbligo. Ricordiamolo!

Quanto è accaduto in Cina, in Italia, in Iran e in altri Paesi, in modo più moderato, con la diffusione del Coronavirus, prova che tutti possiamo essere contagiati (a maggior ragione se si tratta di una malattia che si confonde con una normale influenza), ma soprattutto è evidente che tutti possiamo passare da un ruolo ad un altro: da luoghi della bella vita, della cultura, della bellezza e approdi di salvezza, all’esatto contrario. Forse non avremo emergenze sbarchi, in compenso, questa volta, siamo noi a restare sulle barche. E’ la prima volta che a livello mondiale dopo le pestilenze che hanno flagellato l’Europa, ci troviamo a fronteggiare una situazione virale con simili conseguenze anche sul piano economico e con una gestione mediatica dove è troppo facile togliere il volto, l’essere, a persone con mascherine sulla faccia.
E’ evidente che non siamo pronti a gestire le crisi a livello globale, che siano quelle economiche, quelle del riscaldamento globale e dell’inquinamento, tanto quelle da coronavirus. Le risposte comportamentali, a livello internazionale, sono da pensiero infantile: chiudere gli occhi e alzare muri. Non funziona. In Europa il nostro Paese è quello che vive più di altri di turismo, viviamo di moda ed import export dei nostri prodotti, siamo nel centro del Mediterraneo e un crocevia importante nel cuore dell’Europa (Mediolanum): ovvio essere particolarmente esposti. Ora cosa possiamo fare? Intanto difenderci! Io non ci sto sto alle discriminazioni. Il problema italiano riguarda tutti, tanto quanto quello cinese, iraniano etc…
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