Il corpo femminile è senza ombra di dubbio il più soggetto all’attenzione sociale da parte di entrambi i sessi perché è il corpo di tutti: quello in cui tutti abbiamo vissuto una parte della nostra vita. Fin da bambini impariamo a sentirlo, toccarlo, a nutrirci di esso. Quel corpo materno è materia, è senso di appartenenza e non perdiamo mai, nemmeno in età adulta, l’importanza della sua presenza, anche solo del contatto visivo.
Biologicamente, il corpo della donna deve essere seduttivo per il maschio a fini riproduttivi ed essendo coinvolto nella gestazione, alcuni suoi requisiti sono più o meno finalizzati ad ottimizzare questa funzione. Al corpo maschile si richiedono ben altre caratteristiche prevalentemente focalizzate sulla forza fisica, a corrispondere il senso di sicurezza e protezione necessario per l’allevamento dei figli e la conservazione della specie. Tuttavia l’evoluzione sociale ha modificato il fine esclusivamente riproduttivo della seduzione, diventata strumento di affermazione ed espressione del sé, in qualche caso anche di esaltazione. In pratica il corpo oggi non è tanto uno strumento di riproduzione, quanto di espressione.
Lo slogan anni ’70 della rivoluzione femminile “io sono mia”, finalizzato a legalizzare l’aborto attraverso la scelta della donna, ha reso il corpo femminile “individuale” e non più “sociale”. La storia, però, ci ha insegnato che la possibilità di decidere della volontà riproduttiva non è coincisa con una reale autonomia della donna nel gestire il proprio corpo.

Abbiamo assistito, nel periodo più vicino alla protesta femminile e al bisogno di affermazione professionale della donna in società, ad un trasformazione estetica che ha modificato il corpo fino ad avvicinarlo all’uomo nelle forme e nell’abbigliamento (pensiamo solo alla diffusione dei pantaloni). Abbiamo quindi visto l’esaltazione di modelli femminili sempre più magri ed esili, quasi senza seno e con fianchi stretti (esattamente l’opposto di un corpo femminile materno). L’estremizzazione di tutto ciò ha quasi portato all’annullamento del corpo femminile (pensiamo alle modelle anoressiche che, nel rifiuto del cibo, sottendono un rifiuto del corpo materno e della relazione stessa con la donna – madre).

La conseguenza di tutto questo ha portato a destituire l’importanza del seno a beneficio di una parte del corpo che è comune denominatore tra i sessi: il sedere. Sfogliando le riviste di moda degli ultimi anni, la confusione tra i sessi è sempre più evidente. Anzi, è quasi voluta, accompagnata di pari passo alla modifica del target dei consumatori che cercano possibilità seduttive molteplici: etero, omo e bisessuali. In pratica si assiste o a estremizzazioni della seduzione maschile e femminile o a una confusione – quasi fusione – tra le due manifestazioni d’essere. Nel caso della donna questa esasperazione ha portato a interventi estetici con risultati caricaturali. Donne bambole, donne giocattolo che si possono anche rompere e gettare via, come cose di cui esiste il possesso e non necessariamente il rispetto, in cui il corpo domina sull’essere e non viceversa. In questi casi, la donna perde la sua personalità per “regalare” totalmente il proprio corpo alla società e al suo modello: da “io sono mia” a “io sono di tutti”.

Riporre l’attenzione sul corpo femminile – ripensando al corpo di tutti – e sul senso per cui disponiamo di questo “strumento” chiamato corpo è forse utile per analizzare un percorso sociale che ha prodotto all’alienazione del corpo: sempre meno funzionale all’essere e sempre più politico – sociale.
A riguardo pensiamo anche all’attenzione esasperata sull’alimentazione, che va oltre il bisogno primario di sopravvivenza e benessere, che ha portato a una selezione sempre più severa dei cibi al punto da far nascere anche una filosofia di pensiero che teorizza di poter vivere di luce: alimentazione pranica.

O ancora all’uso del tatuaggio che esprime un bisogno di personalizzare il corpo per renderlo un esclusivo manifesto esistenziale che altro non è che una necessità di appropriarsi di senso con un linguaggio che non è del corpo, ma del pensiero, a conferma che forse, qualcosa, sul corpo, è andato perduto.
Melina Scalise Vietata ogni riproduzione senza attribuzione dell’autore
LA Casa Museo Spazio Tadini è stata fondata da Francesco Tadini e Melina Scalise
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