di Melina Scalise

“Siamo solo il nostro sguardo” intitola Fulvio Tornese uno dei suoi ultimi lavori, eppure, ciò che manca a tutti i personaggi che presenziano i suoi scenari, a volte Chagalliani a volte alla De Chirico, è l’assenza di un volto.
Il volto non è solo l’elemento che dichiara la nostra identità, ma è anche ciò che indica la nostra volontà, la nostra emozione attraverso il nostro sguardo.
Tornese toglie la volontà allo sguardo per conferirla al corpo. Le posture, le mani, i gesti, danno a quell’uomo qualunque uno spazio alla propria volontà. I corpi però sono ingessati in abiti che lasciano poca libertà di movimento e indicano un’appartenenza sociale che li colloca, come avrebbe detto il pittore e scrittore Emilio Tadini, tra gli “uomini dell’organizzazione” (noto ciclo di Tadini).
Per lo più in giacca e cravatta, i personaggi che popolano le tele di Tornese sembrano essere borghesi o individui che rivestono incarichi lavorativi di tipo istituzionale. Queste scelte non sono certamente un caso. L’analisi di questi elementi configura uno scenario di denuncia e di decadenza di un epoca. Si potrebbe dire che la cosiddetta “organizzazione sociale”, lascia, per Tornese, l’uomo “in bianco”, tant’è che dell’uomo egli rappresenta solo il simulacro e bianco è il colore dominante dei suoi lavori. L’individuo è dunque solo con il suo apparire senza più l’essere, senza più la possibilità di esprimere la propria volontà.
Le sue figure viaggiano in paesaggi deserti, metafisici. Le emozioni passano attraverso le ombre. I bianchi lasciano il posto a grigi scuri che segnano, con tratto deciso, la forma e conferisco loro un peso e un senso. Senza quei tratti l’uomo e il paesaggio condividerebbero lo stesso destino anonimo. Solo gli azzurri riescono ad entrare nella sterilità di questi scenari onirici. A volte sembrano ghiaccio, a volte sembrano “sangue freddo”, senza nessun colpevole da poter stare ad ascoltare come avrebbe fatto Truman Capote.
Nelle opere di Tornese non c’è infatti ascolto perché non c’è bocca, nè sguardo, perché non ci sono occhi. Eppure l’artista intitola un’opera dell’ultimo ciclo proprio “siamo solo il nostro sguardo” .
Sembra una contraddizione, ma osservando il lavoro con questo titolo si coglie il senso. Lo sguardo di Tornese non guarda fuori, ma dentro. La scena del quadro è infatti alle spalle dell’uomo messo in primo piano. Del resto, un’altra opera di Fulvio precisa questo concetto “Devi solo Voltarti”.

Lo sguardo di Tornese è interiore, è nella storia e da lì forse comincia la sua ricerca di rinascita. Sulla terra si viaggia come ciechi e si va incontro a questo tempo come equilibristi solitari usando solo il peso del corpo, trascinando la propria ombra.
Una risposta a "Devi solo voltarti: Fulvio Tornese"
I commenti sono chiusi.