Il manifesto e l’arte tra le mani: Adamo e la nuvola

La parola manifesto deriva da manus (mano) + fest toccare. In pratica mostrando le mani ci si rende evidenti, per l’appunto: manifesti. La parola arte è composta da ar (andare, mettersi in moto, andare verso) e questo suffisso appartiene anche alla parola arma, braccio, strumento. I due termini, manifesto e arte, hanno dunque in comune dei riferimenti precisi: il braccio/mano, un’azione, una direzione: muoversi verso gli altri.

Non c’è dunque da sorprendersi se gli artisti, nei secoli, hanno deciso di accompagnare il loro lavoro creativo con la periodica sottoscrizione di manifesti, pensiamo per esempio, al manifesto del Futurismo. Il manifesto era ciò che completava il loro “andare verso”, il loro esprimersi attraverso il fare con le mani, perchè  alla “cosa”, all’immagine da loro prodotta, c’era il racconto: la parola dava una spiegazione alla direzione del loro movimento, al verso del  loro fare.

Quello dell’arte è un fare che esterna ciò che c’è dentro ogni singolo artista, dentro ogni uomo. E’ un agire non per copiare le cose, il mondo, per trasformarlo o per usarlo, ma per portare alla luce, alla visione, un mondo invisibile, le “cose interiori”.  Questo rendere manifesto un qualcosa che non lo è attraverso il fare e completarlo con la parola ha a che fare con un bisogno non solo individuale, ma collettivo. L’arte trova una forma di espressione completa quando esprime un pensiero comune che altro non è che un sentimento comune. Il “comune sentire” è direttamente correlato al proprio tempo. Il manifesto nasce come bisogno di esternare e spiegare un “sentire” ed è pertanto frutto di una maturazione, di una riflessione comune. Motivo per cui ogni manifesto è caratterizzato dai bisogni, dai cambiamenti percepiti in un dato momento storico o anche solo dall’interpretazione dei bisogni. Mentre il manifesto, però, è datato, l’oggetto artistico prodotti dagli artisti che aderiscono a un manifesto, è tanto più artisticamente interessante quanto più tende all’infinito. In pratica il capolavoro artistico è qualcosa che, pur essendo il risultato di un periodo storico preciso, si avvicina alla scoperta: una scoperta di cui può godere tutta l’umanità. E non dimentichiamo che ogni scoperta è il risultato di un’intuizione, di un sentire.

Nel 2018 il mondo dell’arte è a una svolta. Lo si percepisce da tante cose.  L’arte, dopo ha esplorato la liberazione dalla forma, dalla copia, dall’unicità, dal conformismo, dalla tela e l’arte finisce in strada quanto sul corpo di una persona. Gli artisti si sono liberati dalle committenze e spesso anche dei galleristi. Il mercato è cambiato e segnato da una riduzione delle vendite, da un maggiore afflusso di turisti nei musei e meno nelle gallerie d’arte contemporanea. Il mercato è dominato da artisti “storicizzati nelle aste” , dalle mode. Una moltitudine di artisti contemporanei si sentono esclusi da un sistema in cui tentano di essere liberi imprenditori di se stessi, mentre la fotografia sta vivendo un momento d’oro valicando i confini della semplice documentazione della realtà.

invito adamo e la nuvola-def-1Il 17 gennaio 2018 alla Casa Museo Spazio Tadini l’associazione culturale In Tempo di Roma presenta la mostra Adamo e la nuvola e un suo Manifesto per l’arte. Pittura e scultura. Come presidente dalla Casa Museo Spazio Tadini sono lieta di ospitare un evento che intende proporre una riflessione sull’arte oggi. E’ interessante anche che parta da un gruppo di artisti romani e che abbiano scelto la sede museale per un incontro/confronto con artisti di Milano per aprire un dialogo e un lavoro comune tra due città rappresentative dell’Italia contemporanea.

 

invito adamo e la nuvola-def-2Si legge nella premessa al Manifesto per l’arte. Pittura e scultura dell’associazione In tempo: “

“L’alto tasso di relatività, prodotto dall’ aumentata velocità degli scambi, determina la coesistenza di molteplici centri che annientano la capacità che ha il pensiero di produrre sintesi condivise. Il nuovo connettore di questi molteplici centri non può più essere, quindi, un pensiero condiviso, ma il pensiero soggettivo reso universale quando deriva dall’unicità soggettiva. Il pensiero che al tempo delle grandi narrazioni significava la vita, ora ne deriva. E il cogito ergo sum si capovolge in sum ergo cogito”

e ancora

“l’arte non è più funzione sociale, non più necessità del profondo, ma diviene funzionale al suo vendersi come merce. Il riprodotto si sostituisce all’ originale e, di conseguenza, l’esclusione dell’originale significa esclusione della forza creativa della coscienza individuale. Crediamo che l’artista, invece, è in grado di edificare consistenze di senso nel vuoto dell’attuale scenario (…)”.

mentre in alcuni passaggi del manifesto si legge

“Nella desertificazione prodotta dal coesistere delle polarità opposte, affermiamo il protagonismo dell’essere che mediante la propria consistenza, derivata dal “sapere” e “non sapere”, si rappresenta in quel deserto”

“L’essere, capace di calarsi profondamente nella sua unicità soggettiva, può raggiungere gradi di verità universale e, in quanto tale, condivisibile”

“Pensiamo alla pittura e alla scultura come intelligenza e volontà della mano, e come potenzialità del comporsi di immagini disegnate dal liquido biologico dell’artista e del suo essere mentre reagisce agli stimoli del mondo.”

“Per queste ragioni pittura e scultura devono “dire” e non più “raccontare”, perché in un processo in divenire esse saranno l’impronta “autografa” del nostro essere”.

E’ vero l’intelligenza artificiale cerca di riprodurre il pensiero umano, tutto scorre in fretta, ma è vero che esiste un “vuoto nell’attuale scenario”? Non è forse un troppo pieno? Non è forse che nella molteplicità di possibilità e di opportunità di espressione del singolo attraverso il moltiplicarsi dei mezzi a sua disposizione sia più difficile capire, scegliere, individuare i costi/benefici di tutto questo dire e fare?

E’ vero che la pittura e la scultura sono un fare della mano più di un tasto premuto sul computer o su una macchina fotografica o su una stampante 3D, ma il pennello ha cambiato il modo di esprimersi della mano, tanto quanto gli attrezzi del mestiere di uno scultore. E’ dunque il mezzo che cambia “il fare”? O è piuttosto il fare in sè, il bisogno di fare qualcosa che conta a prescindere dalla tecnica? Il “dire” è senz’altro una posizione più coraggiosa del “raccontare” è un essere in prima persona, ma se la pittura e la scultura propongono un’immagine necessariamente sono anche un racconto.

A cosa porta dunque questo “dire”? A cosa porta dunque questo Manifesto per l’arte? Pittura e scrittura? Il dibattito è aperto. Il 17 gennaio alle ore 19.30 alla Casa Museo Spazio Tadini, via Niccolò Jommelli, 24- Milano vi aspettiamo.

Melina Scalise