
Doveva essere, o forse no, che un giorno si sarebbe avverato un sogno. Come sempre nella vita una serie di coincidenze e casualità possono fare accadere delle cose e non altre. Accadde così che in un autunno di addii, nell’ormai lontano 2002, Francesco Tadini diede l’ultimo saluto a suo padre e si propose di rilevare agli altri eredi le quote restanti del piano terreno e seminterrato di una tipografia storica della città appartenuta da due generazioni alla sua famiglia. Quell’anno, doveva segnare una svolta nella sua vita.
“Da piccolo giocavo sempre nel ventre di questo luogo pieno di macchine, di carta, di operai che staccavano il turno – racconta Francesco Tadini -. Il nonno la lasciò in eredità a mio padre e suo fratello e nella palazzina ci costruirono anche le loro case e mio padre il suo laboratorio artistico. Era il luogo ideale per giocare a nascondino. A quell’età pensavo a come sarebbe stato bello avere io quel luogo così intriso di lavoro e di parole”.
La vecchia tipografia si chiamava Grafiche Marucelli, in via Jommelli, 24 dove ancora, sul portone campeggia l’insegna ossidata dal tempo. Fu fondata alla fine dell’Ottocento e trasferita nell’attuale sede negli anni Venti.
Oggi, in quello stesso luogo, non ci sono più le macchine tipografiche, tranne qualche raro pezzo, ma parole, disegni e soprattutto tanti sogni.
“Quel sogno di bambino si è avverato in un momento particolare della mia vita nonostante ci avessi provato qualche anno prima – racconta Francesco Tadini – . Ricordo che volevo rilevarne una parte per trasformarla in un’abitazione più confortevole per mia moglie Paola e mia figlia Francesca, ma la mia prima moglie non era convinta della fattibilità del progetto. Quando lei mi chiese la separazione, dopo la morte di mio padre, fui costretto a trovare casa e mi si ripresentò l’occasione quando mio padre e suo fratello morirono a distanza di pochi mesi ed io, mio fratello e i miei cugini, dovevamo ripartirci lo stabile. Non me la feci scappare”.
Quando fu liberato da tutti i macchinari, quel luogo era anni luce da qualcosa che si potesse immaginare funzionale per viverci, ma Francesco Tadini cominciò questa nuova avventura non da solo, ma con un’altra donna, Melina Scalise ( ovvero la sottoscritta).

“Forse solo due sognatori come noi potevano affrontare una tale progetto – dice Francesco – un pezzo alla volta, come si compone un puzzle, io e Melina abbiamo sistemato questo spazio industriale in un luogo d’arte, annesso anche l’ex studio di mio padre, Emilio Tadini, recuperato un vecchio magazzino, salvato ogni singolo foglio di carta, appunto e tantissimi libri. A gestire il tutto oggi c’è l’associazione culturale, Spazio Tadini, che abbiamo fondato ed è presieduta da Melina Scalise, diventata poi mia moglie”.
In qualche caso nasce subito l’amore verso l’altro, in altri, questo amore si estende, si spande per essere un amore verso un progetto di vita, ovvero una sintonia sul senso della vita, del come trascorrerla, di come progettarla. Io e Francesco amiamo le stesse cose. Qualcuno dice che è perchè siamo del segno dei Pesci. Mi piace immaginarci pesciolini che nuotano tra le correnti, a volte anche contro corrente. Diciamo che pure che di correnti avverse ce ne sono state, ma Francesco, nei momenti difficili, mi disse sempre che almeno io non dovevo perdere il timone. Non l’ho perso ed ora viaggiamo ancora fianco a fianco verso la nostra isola.
“Sono trascorsi otto anni da quando io e Melina abbiamo fondato Spazio Tadini – conclude Francesco Tadini – e oggi siamo riusciti a costruire uno spazio vitale e aperto per l’arte e la culturale, oltre che, ovviamente, finalizzato a mantenere vivo e tutelare il nome di mio padre, Emilio Tadini. Non siamo al traguardo, ma al consolidamento del tracciato (www.francescotadini.it)”.
Per fortuna non parla di traguardi. Io non amo tanto i traguardi quanto i progetti e quindi spazio a nuovi sogni.
“Un pezzo della nostra storia” di Melina Scalise
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