Cacciatori di orizzonti di Fulvio Tornese

La pittura di Fulvio Tornese pone l’attenzione sull’Uomo e su aspetti controversi di questo inizio Millennio. Viviamo un’epoca di evidenti disequilibri tra antropico e naturale con ripercussioni sul piano sociale, economico e politico. La sua pittura sviluppa varie tematiche dell’esistenza e sembra cercare soprattutto una risposta a questa domanda: qual è il “posto” dell’Uomo?

Attraverso l’arte, il Novecento, ci ha mostrato la dinamicità e il potere della tecnologia e della macchina, pensiamo, per esempio, al Futurismo; ci ha raccontato la perdita della forma e della sua solidità con l’astrazione o l’informale; ci ha spinto ad indagare lo spazio e l’oggetto fin nella sua serialità, come nella Pop Art; ci ha spalancato la possibilità di esplorare e rappresentare l’inconscio con la forza espressiva dei Surrealisti e anche raccontato l’alienazione dell’individuo nelle città per poi trasformarle in luoghi privilegiati della comunicazione e “rivoluzione” artistica e sociale con la Street Art. Ognuna di queste tappe, anche sovrapponibili, in qualche caso, testimoniano che la pittura è espressione di grandi cambiamenti sociali, ma è anche ricerca.

Ritorno a if_  cm 70×60 acrilico su juta 

Fulvio Tornese affronta la tela bianca con questo bagaglio d’esperienza e narrazione visiva alle spalle e mostra una particolare attenzione verso lo “spazio” e non stupisce dato che è anche un architetto. Come pochi artisti, riesce ad esprimere il nostro tempo. Non ha temuto di riprendere in mano la figura – superando anche le “mode” di una certa pittura – e si è concentrato sullo “spazio dell’Uomo” per raccontarlo, esplorarlo, ritrarlo e guardarlo con la “giusta” distanza aiutandoci a riscoprirlo, individuarlo, discuterlo, immaginarlo.

Dove ci muoviamo oggi? Qual è il nostro paesaggio e orizzonte? Tornese ci fa notare che abbiamo scelto di abbandonare le campagne per andare a vivere prevalentemente nelle grandi città, ma nonostante questo ci portiamo dietro la “nostra” Natura e, in modo giocoso, associa i capelli alle forme e movimenti sinuosi delle chiome degli alberi. Che l’Uomo si identifichi spesso con l’albero la psicologia ce lo insegna da tempo.

.

Se mai dovessi tornare_ cm 90×60-acrilico su tela

Le metropoli di Tornese hanno architetture articolate, labirintiche, dense e, qua e là, si individuano anche palazzi che sembrano strani macchinari futuribili. In questi contesti urbani spesso il colore si perde. Le differenze cromatiche lasciano il posto a vaste aree di grigio/azzurro che non ricorda solo il cemento, ma certi paesaggi ombreggiati da gigantesche nuvole pronte ad annunciare tempeste e cambiamenti. E’ forse, in quel grigiore, in quel colore che toglie le differenze, che abbiamo perso anche la nostra capacità di riconoscere le cose e di chiamarle per nome? Tornese, dipinge con questo colore la città nell’opera “Il senso delle parole che abbiamo perduto”. In primo piano c’è un uomo-gigante che si guarda le mani come se tenesse in braccio qualcosa d’invisibile. Perdendo il senso delle parole ne perdiamo anche l’origine e il corpo? O ancora, la cosa che non chiamiamo esiste? Tutti abbiamo provato l’anonimato nelle metropoli, il piacere o la paura di confondersi tra la gente, di non essere riconosciuti, a volte la sensazione di sentirsi nessuno. Di certo nominare qualcuno o qualcosa significa individuare un soggetto e distinguerlo dall’insieme. Dunque, oggi, che tanto usiamo navigare in rete, dobbiamo domandarci se non è anche la “perdita del corpo” a farci dimenticare o stravolgere il linguaggio e il suo senso. Certamente stiamo vivendo un’epoca dove la necessità della presenza del corpo è cambiata e, con essa, anche il linguaggio. E’ evidente che Tornese si interroghi sulle trasformazioni linguistiche e, al contempo, ci inviti a riflettere. Il tema, infatti, si ripropone anche nell’opera “Il destino dei poeti” dove sembra che quell’oralità e gioco libero della parola che è proprio della poesia sia diventato qualcosa di inciso su rigide tavole che sanno di archeologia e storia.

_Il senso delle parole che abbiamo perduto_cm 140×90 acrilico su tela

_Il senso delle parole che abbiamo perduto_cm 140×90 acrilico su tela – _Il destino dei poeti_ cm90x80-acrilico su tela(2018) – Margot-e-larchitetto-cm-140×90-tecnica-mista-su-carta-intelata-666×1024

Il paesaggio naturale, nelle opere di Tornese è presente ai margini delle città o accennato in qualche albero da viale. Hanno invece un ruolo di rilievo il cielo e le sue nuvole tanto quanto il mare. Le nuvole, a volte, sono candide compagne che ci portiamo a passeggio al guinzaglio come cani d’appartamento convinti di poter governare una Natura amica (opera Margot e l’architetto). Altre volte sono minacciose e insidiose a ricordarci l’imprevedibilità e il caos che appartiene anche all’imprevedibilità del mare (opera l’Andamento delle maree).

In questo dialogo tra paesaggio naturale e antropizzato dove tutto può accadere, l’Uomo di Tornese ha scelto il punto di vista della città e del suo potere organizzativo, razionale e tecnologico. Qui, i personaggi dei suoi dipinti, nei loro vestiti per bene, cercano la riconoscibilità professionale e individuale. Qualche volta, invece, cercano semplicemente se stessi. La relazione tra individuo e contesto sociale è costante. La città, tuttavia, non sembra un luogo privilegiato dove trovarsi o ritrovarsi, ma certamente sembra essere un luogo necessario, indispensabile. E’ forse per questo che l’artista spesso mette all’Uomo le ali e gli rende possibile sorvolare queste grandi città. Come uccelli o angeli i suoi personaggi possono così vedere, desiderare e immaginare quell’orizzonte che vorrebbero raggiungere. Qualche altra volta, sempre a questo scopo, li fa semplicemente salire su delle scale o, paradossalmente, li trasforma in giganti capaci di modificare vedute e prospettive.

Solo una borsa cm150x150 acrilico su tela 2020

Tornese ci racconta di un Uomo in viaggio, spesso con in mano una borsa o una valigia. Quando è fermo, sembra in attesa di una partenza o di qualcosa che accada. Ci parla di individui che appaiono come vagabondi ad angoli di strada o seduti o appoggiati ai muri, spesso avvolti nelle loro giacche o cappotti ad interrogarsi o ad aspettare solo l’attimo che inevitabilmente cambierà le cose, sfiduciati della possibilità individuale di cambiare il corso delle cose.  Qualcuno, invece, sembra cercare un rifugio, un riparo, un nascondiglio anche solo dietro un muro dove, comunque, incontra ombre che diventano racconti delle sue paure.

Vita moderna cm 140×100 acrilico su tela(2019)

I personaggi di Tornese sono senza volto o con dettagli del viso appena accennati. Emblematiche, in tal senso, le opere “Siamo solo il nostro sguardo” e “Sono ciò che vedo” dove, proprio lo sguardo, non c’è e, dunque, ci invita ad andare ben oltre l’organo che ci permette di vedere e percepire: l’occhio, il corpo. Noi siamo ciò che sperimentiamo, vediamo, ricordiamo, assimiliamo. Per l’artista è dunque sufficiente farci pensare che abbiamo una bocca per parlare, un occhio per vedere, un naso per respirare, un orecchio per sentire, un corpo per muoverci, ma non è il tratto somatico, né la lingua o cultura di appartenenza a connotarci, ma la relazione con il contesto, con il paesaggio. E’ in quel dialogo tra noi e il mondo che noi siamo, è nella socialità della città e del web, in quell’affannosa e necessaria ricerca di relazione che noi esprimiamo il nostro essere sociale e noi stessi (La bella scontrosa).

Sono ciò che vedo_cm  59×49  olio su tela

Fulvio Tornese ha ereditato molto da Marc Chagall ed Emilio Tadini, entrambi pittori che nella figurazione e rappresentazione di un mondo onirico hanno affrontato tematiche d’interesse a lui vicine come il racconto dell’Uomo, dei sentimenti e del senso del vivere. La pittura di Tornese però ricorda anche, con le sue tinte piatte e soprattutto i contorni marcati delle figure, i fumetti, con cenni compositivi che rimandano agli autori classici che lo hanno sempre accompagnato da fin dall’infanzia come Giorgio Cavazzano, Hugo Pratt, Andrea Pazienza, Moebius, Sergio Toppi. A tratti, si avvicina, ad alcune pitture della Street Art e le sue tele e, non solo i suoi personaggi, potrebbero diventare tranquillamente gigantografie da palazzi di città.

Ogni luogo nei lavori di Tornese ha a che fare con il reale e il simbolico, gioca con l’irrealtà, il sogno e l’immaginazione. Viviamo, del resto, in una dimensione “fluida”, come scriveva il sociologo polacco Zygmund Bauman in una “società liquida”, in costante movimento. Oggi siamo sempre più consapevoli dello stravolgimento dei confini tra noi e il mondo e tra tutti i mondi possibili e siamo sempre più predisposti alla sperimentazione. In questa logica non c’è da stupirsi se la pelle di molti personaggi di Tornese è azzurra come il cielo, perché, semplicemente, siamo parte di un Tutto e un pizzico di questo immenso Universo è in noi, che lo si voglia o meno. Tornese ci ricorda che il corpo è solo un involucro e, senza i vestiti, potrebbe addirittura scomparire, perché è vero che l’apparire spesso sovrasta l’Essere, ma è anche vero che l’Essere è a prescindere dall’apparire.

ho mandato la vita a soccorrere il mondo

Testo pubblicato sul catalogo della mostra di Fulvio Tornese CACCIATORI DI ORIZZONTI a cura di Melina Scalise presso il MUST di Lecce- Italia

Vietato riprodurre senza citare l’autore.