Francesca Magro IL CORPO E LA CARNE

In mostra dal 20 settembre febbraio al 30 ottobre alla Casa Museo Spazio Tadini con Mario De Leo: Parlami di Lei Dialogo a Due a cura di Melina Scalise (vedi)

Vi siete mai chiesti perché le donne usano molto il corpo e il loro corpo come strumento di espressione artistica? Pensiamo alle tante fotografe che oggi usano l’autoscatto o il cosiddetto selfie, alle artiste come Marina Abramovic classe 1946 che eseguì a Napoli nel 1971 una perfomance in cui espose il suo corpo su un tavolo per essere toccato e manipolato dal pubblico o a Gina Pane che arrivò a ferirsi con la perfomance “Il bianco non esiste” nel 1972.

Francesca Magro Donna seduta 2012olio su tela cm 140×100

Ebbene, il corpo nell’arte è stato sempre per eccellenza quello femminile declinato nei modi più svariati, la Madonna, la bellezza seducente, la madre, la madre terra, la meretrice, la musa, tuttavia questo corpo è stato espresso quasi esclusivamente da artisti uomini. Per le donne, dunque, la lotta per la conquista dei diritti sociali e per l’acquisizione di un ruolo nei vari ambiti professionali, compresa l’arte, non ha potuto prescindere dal riposizionare il loro corpo nello spazio reale e simbolico, dal ripensarlo, dall’esprimerlo con le loro parole e dal rivendicarne un’autonomia (pensiamo allo slogan “io sono mia” delle femministe negli anni ‘70). Non è un caso che la perfomance sia stata una modalità molto diffusa di espressione dell’arte al femminile in quanto è “di fatto” un “dare corpo”, storia, a quel corpo “diviso” tra l’essere santificato o peccatore. La perfomance “mette a terra”, nella realtà, nella dimensione temporale e finita dell’uomo il corpo femminile. Pertanto quel corpo diventava carta e materia su cui “scrivere”, pensiamo alla body art per esempio. E’ stato come toglierlo dall’eternità santificata. Ecco questo “mettere a terra” il corpo ha a che fare con un atto ben preciso che si chiama “deposizione” e porta dal corpo alla carne che è il titolo di una serie di lavori di Francesca Magro.

E’ particolarmente esplicativo di questo concetto l’artista e scrittore Emilio Tadini che, nel 1997, pubblicò il testo teatrale La deposizione (ediz. Einaudi). E’ il monologo di una donna accusata di aver ucciso sette uomini di cui non si trovarono i corpi. La deposizione, etimologicamente “mettere a terra” (de-porre dall’alto al basso) ed è anche, nella storia iconografica dell’arte, la deposizione del Cristo. In questo testo teatrale Tadini parla del corpo della donna/madre portando il suo corpo da una dimensione “santificata” a una dimensione reale, materiale. La deposizione dell’accusata in tribunale diventa un atto liberatorio di intenso valore simbolico. E’ una donna che non si sente compresa e vista come persona, bensì come “mezzo” procreatore e rigeneratore e produttore di vitalità e piacere, quindi non considerata come essere-da amare. La sua difesa è un monologo al diritto di essere persona e non oggetto o corpo sacrificale fino al punto da perdere un figlio (Gesù) per l’Umanità per diventare simbolo di pietà.

Francesca Magro Ergonomia cognitiva 2012 olio su tela cm 150×110

Il lavoro artistico di Francesca Magro, docente d’arte, ha attinto da questo immaginario del femminile nell’arte e nelle rivoluzioni sociali femministe del 900 e, come donna e artista ha scelto di parlare del corpo in un modo singolare e innovativo. I suoi lavori si presentano in prima istanza come denuncia della donna-oggetto e di un ruolo della donna “bambola” enfatizzato ancor più negli anni 80, sia nel linguaggio televisivo, che della pubblicità e della moda nonostante le conquiste della rivoluzione femminile. Francesca Magro sente l’urgenza di strappare ferocemente quel corpo femminile da tutto ciò che è modello estetico stereotipato esasperato anche dalla chirurgia estetica, ma anche dal sacro e simbolicamente angelicato per riportarlo alla carne e alla manipolazione della carne fino alla sua trasformazione artificiale (corpo bionico).

La sua frammentazione del corpo e dell’anatomia perde qualsiasi vezzo estetico e “sacro”. Oggi, nel 2000, la donna di Francesca Magro sembra in costante mutamento e costruzione, come un palazzo con delle impalcature il cui lavoro cerca di coniugare antropico e naturale, come quello dell’uomo sulla superficie terrestre, sulla “pelle” di Madre Terra. E’ un corpo possibile senza alcuna restrizione etica, materia da plasmare in cui la stessa donna sembra esserne autrice perché la Magro non raffigura esseri agenti su questi corpi. La ricerca di una Super Donna? Di una donna nuova? O semplicemente la distruzione della donna e della Terra insieme? Gli uomini sono quasi assenti o presenti in altre sembianze come nella serie dedicata al mito di Leda che si accoppia con un cigno (Zeus) e partorisce un uovo e quindi viene fecondata a tradimento: come una fanciulla ingannata dal suo giocattolo. Tuttavia, nella maggior parte delle opere i figli sembrano addirittura possibili senza la presenza dell’uomo: metà uomini e metà robot a loro immagine e somiglianza. La donna sembra artefice e vittima di sè stessa in una sorta di delirio tecnologico di dominio sulla Natura da cui sembra cercare di prendere le distanze e rompere il legame simbolico madre-terra nonché biologico con la ciclicità della Natura.

Eppure, in questa dimensione “bionica”, ibrida e tecnologica sembra esistere un rapporto con il sentimento. Le donne di Magro si muovono in un paesaggio simile alle geometrie di Malevich a luoghi metafisici “suprematisti”, ovvero dove l’irrappresentabile è figura geometrica ed espressione del sentimento. Sono dunque donne che “abitano i sentimenti”, ma non li vivono, non li hanno nel corpo e sperimentano nuove forme di comunicazione con l’altro e con se stesse. Le figure dipinte sono infatti senza espressioni emozionali riconoscibili, macchine senza la comunicazione della mimica del corpo. Sembrano senza voce e parola e usano fili di collegamento elettronici che favoriscono una sorta di telepatia.

Francesca Magro Leda – 2017 olio su tela – cm. 140×100

E’ come se Francesca Magro volesse dirci che dove non c’è corpo naturale non c’è suono, non c’è parola, non c’è sentimento, non c’è storia sociale, ma solo individuale e isolamento. Il rischio di un eccesso manipolatorio su questo corpo simbolico forse potrebbe prospettare un futuro di figli ibridi che vagano come mostri in un mondo di sentimenti ormai irriconoscibili i cui giochi sono solo feticci privi di senso?

E’ chiaro come Francesca Magro non si fermi alla denuncia sulla condizione della donna oggi, ma voglia stimolare riflessioni etiche e sociologiche cruciali sul futuro dell’umanità.

Melina Scalise (ogni riproduzione è vietata senza la citazione dell’autore)


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