Le metamorfosi
Le opere di Goffredo Radicati rievocano tutta la forza dei capolavori surrealisti dei primi del Novecento. A dominare il suo lavoro artistico troviamo il sogno, la fantasia, la follia e l’allucinazione che contraddistinsero anche la produzione artistica di alcuni importanti pittori surrealisti come Max Ernst e Salvator Dalì. I soggetti di Radicati, però, accentuano la trasfigurazione, le forme raggiungono quasi l’astrazione e, in qualche caso, richiamano una dinamicità che ricorda persino certi pittori futuristi come Balla e Depero.
Siamo di fronte, dunque, ad un’interpretazione del surrealismo che, conserva, anche tracce della pittura più recente, capace di trasfigurare il mondo fino a quasi liberarsi dalla forma, per diventare segno, colore, rappresentazione del movimento, del cambiamento: metamorfosi.
Vediamo così un aquilone fatto di punte che sembrano becchi di pellicani, mani che si trasformano in creste di gallo, nasi in corni, ombre in corpi, foglie in carne. Scopriamo forme improbabili diventare possibili, ombre rette diventare cure, forme spigolose generare sinuose linee corpose e carnose. Sentiamo il calore del giallo e del rosso mitigarsi all’insinuarsi del verde, il blu e l’azzurro mischiarsi con il bruno e il marrone, il tutto in un susseguirsi incessante di colpi di colore e di forme capaci di stagliarsi in primo piano su fondi viola scuro, quasi nero. Eccolo l’oggetto. Ecco l’elaborato mentale, ecco l’avviluppamento onirico, ecco il pensiero trasfigurato, ecco la musica senza suono, ecco la voce trasformarsi in segno.
Questi soggetti e mondi improbabili sono quasi tutti sospesi, appartenenti, anche solo per questo, al sogno, là dove la gravità rimane un ricordo delle ore diurne, quando la luce richiama la Terra. Radicati però va con forza e vigore verso il buio, non teme l’ignoto, ci si intrufola curioso come un giullare e si beffa della gravità della vita. I suoi cicli sono una dimostrazione di questa ironia, di questo gioco che si spinge fino all’inconscio senza paura di svelare l’indizio, senza temere giudizio, né pregiudizio.
Troviamo infatti, tra le sue opere lavori dedicati a figure nell’ambito della famiglia, come la nonna e la coppia, a fatti di cronaca, come lo sfratto e la dipendenza dal denaro, a situazioni ludiche come bevitori e musicisti, a opere più chiaramente oniriche come frammenti, il sonno, mutazioni. Un ruolo principe hanno poi i sentimenti, come l’amore e il dolore, quanto la morte e la vita, verso cui non risparmia riferimenti anche al sacro, con opere dedicate alla croce, dove però prevale l’elemento umano, il bisogno di liberazione dalla sofferenza esistenziale.
Negli ultimi lavori di Radicati i colori sono più brillanti e rispetto alle prime tele, lo sfondo dei suoi soggetti non appartiene più alle tenebre, ma ad un pianeta di orizzonti dove torna ad avere un ruolo, la profondità, il tempo, lo spazio, non vi è la pesantezza e con la sua gravità materiale. L’artista rifugge dall’aderenza al terreno e il suo viaggio pittorico non è più una sequenza infinita di oggetti onirici collezionati come matriosche pronte a svelare l’arcano dell’essere e dell’esistere, ma piuttosto un tuffo nel sogno.
Radicati viaggia lontano, trova orizzonti verdi, gialli e rossi, altrimenti impossibili e, in questi scenari, incontra le sue figure che gli raccontano del mondo e della vita. Lo fanno a modo loro, senza usare gli schemi della lingua, né della figura stereotipata, ma la straordinaria dinamicità che può solo un flusso libero di pensiero. L’artista, attraverso la sua mano e il suo pennello, riesce a riempire ogni centimetro della tela come se fosse un’occupazione abusiva in un mondo che non lascia spazio alla fantasia e alla libertà, sempre più cementificato nel corpo e nello spirito.
Melina Scalise