FERMATA CADORNA: LUI, LEI, L’ALTRO

Fermata Cadorna. Linea uno della metropolitana. Rientro. Fisso il seggiolino blu e aspetto curioso il mio dirimpettaio. E’ un modo per ingannare il tempo. Arriva. Ha visto il posto prima del signore grigio. I suoi occhi se ne sono appropriati prima del suo sedere: uno sguardo rapido, la ricognizione, l’individuazione, lo stacco. Batte il tacco e avanza decisa. Chi arriva ultimo perde. Vince lei, forse si chiama Maria. Ha i capelli lunghi neri, età 30 anni circa, gonna nera sul ginocchio, stivaloni neri a punta, giacca verde, borsa etnica e rossetto fuoco. Bella. Tira fuori dalla borsa un libro e sotto un’ascella minacciosa, attaccata al palo di fronte a lei, affonda il suo sguardo nella lettura. E’ china, come se gli occhi del proprietario di quell’ascella abbiano un peso da impedirle una postura eretta. Riesco appena a vederle la punta del naso. Lo sguardo del possessore dell’ascella è insistente. Le gambe di Maria si accavallano per marcare una distanza, ma il ginocchio di quello sguardo preme contro di lei. Cambia gamba. Stacca il ginocchio e alza il tacco. Rimarca lo spazio vitale. Fermata San Babila. Un gruppo di liceali entra chiassosamente e preme. Per effetto domino la spinta giunge fino a lei e le ginocchia contro diventano due. Lei rinuncia all’accavallamento. Cede. Chi è costui? Cosa vuole da lei? Brava, Maria continua a tenere giù gli occhi: guardarlo in faccia equivarrebbe ad un riconoscimento del suo messaggio d’approccio. Lei solleva appena le palpebre e arriva giusto all’altezza imbarazzante dei suoi genitali. L’uomo ha i pantaloni con la tasca scucita: brutto segno.

Uno dei due ginocchi cerca di insinuarsi tra le sue gambe. Le divarica. Lei prende una decisione. Chiude il libro, lo ripone nella borsa e s’alza, dando quasi un colpo di testa a quell’ascella che non molla la presa. Non uno sguardo, non una parola. Batte il tacco e salta fuori dal vagone in una volata, mentre io, involontariamente, la inseguo: direzione Cologno Nord. Linea due della metropolitana. L’uomo è lì, dietro di lei. Ah! Maria, come faccio a farti sapere che ti cerca tra la folla? Affretto il passo. Penso: se solo mi avvicinassi per dirtelo mi scambieresti per lui. Non noteresti i miei pantaloni ben cuciti e freschi di lavanderia, mi guarderesti in faccia dicendo: “Bastardo!”. Saliamo sul metrò della linea verde, dritti verso la superficie. La luce renderà le cose meno inquietanti. Entriamo tutte e tre nello stesso vagone. Ci sono due seggiolini vuoti in fondo alla carrozza, ma questa volta Maria resta in piedi. Sembra scalpitare. Guarda fuori dal finestrino e grazie al nero del tunnel lo vede riflesso. Lui è dietro di lei. Sente il peso del suo sguardo. Batte nervosamente un piede. Ma perché non la lascia in pace? Guarda insistentemente i tuoi morbidi capelli neri, Maria. Ora abbassa lo sguardo. Vuole forse fare l’indifferente? “Bastardo” lo penso io, questa volta. Ma non capisce che ti sta spaventando? Continui a guardare il lurido muro del metrò. Ti capisco: vivi nell’indecisione di scegliere la mossa giusta. La tua mano attaccata al palo si confonde con quella di altre persone e arriva lì anche quella di lui. E’ a due mani dalla tua. Fermata Udine. Guadagna due posti. Recupera centimetri. Ti tocca e……la luce invade il vagone. Stacchi la mano e, con la sublime arte dell’indifferenza, la usi per estrarre dalla borsa un fazzoletto. Ti soffi il naso. Poi ti volti e vedo quella lacrima. Dov’era? Brilla. Capolinea Cologno Nord. Il vagone è quasi vuoto. La sua ombra ti abbraccia. Esci e lui di scatto ti afferra da dietro. Maria, sono pronto a saltargli addosso, ma lui ti grida “Ti amo!”. Mi fermo. Ti lasci abbracciare, ma è solo un secondo. Tiri indietro la testa appoggiandola sulla sua spalla come per ricevere un’ultima consolazione, poi ti restituisci un contegno. Stacchi, batti il tacco e ricomponi la borsetta etnica. Senza voltarti procedi dritta verso la tua meta. Lui ha gli occhi buttati dietro il tuo groviglio di capelli neri che si allontana, le ascelle serrate e le mani vuote di te, per sempre.

Mi sono sbagliato. Lo credevo un molestatore invece era un uomo ferito dal dardo di un addio senza speranza. La mia giornata da leone è tornata pecora. Il mio cuore decelera e già penso alla cotoletta alla milanese con patate fritte che mi aspetta a casa.

Melina Scalise

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